La morale come pazzia
A cura di Aniello Montano
ISBN 978-88-89579-80-0
Pagine: 136
Anno: 2006
Formato: 14 x 21 cm
Collana: Per una nuova biblioteca, 1
Supporto: libro cartaceo
Dopo una serrata critica al razionalismo morale, all’intellettualismo etico e alla morale utilitaristica, Rensi giunge da un lato alla conclusione che il tentativo di fondare una morale universalmente valida è destinato a fallire miseramente, dall’altro che l’unica motivazione che possiamo accordare all’agire morale è l’assenza di ragione, ovverosia, la pazzia, nel significato platonico di demone socratico interiore che ci spinge ad operare il bene. «Se immolarsi per una causa politica o religiosa sia utile o dannoso, non so, né lo potrò mai sapere; se agire come agirono Socrate, Budda, S. Francesco, sia azione eccelsa o stupidaggine, non so. Essi stessi non sanno, non hanno la prova inconfutabile e matematica che la loro condotta sia veramente morale e non assurda, eppure rischiano».
Giuseppe Rensi nacque a Villafranca di Verona il 31 maggio 1871. Laureato in giurisprudenza, esercitò la professione di avvocato e si impegnò nella vita politica e nel giornalismo. Collaboratore di giornali socialisti fu colpito dalle misure repressive che seguirono i moti del 1898 a Milano. Riparò in Svizzera, nel Canton Ticino, dove soggiornò fino al 1908. Ritornato in Italia su sollecitazione di esponenti socialisti, come Leonida Bissolati e Anna Kuliscioff, riprese l'attività di avvocato e di pubblicista. Nel 1911 conseguì la libera docenza in filosofia morale presso l'Università di Bologna. Ha insegnato nelle università di Ferrara, Firenze, Messina e infine a Genova a partire dal 1918. Nel 1917 uscì dal Partito insieme a Bissolati. A fronte della bolscevizzazione del socialismo italiano a seguito della rivoluzione d'ottobre, assunse una posizione di ferma denuncia del demagogismo imperante. Nel primo dopoguerra, di fronte allo sfascio del Paese, sembrò confidare nelle promesse di riordino della società provenienti dal fascismo italiano. Ne denunciò, però, la pericolosità già nel 1921, appena si accorse della piega violenta che veniva assumendo la politica mussoliniana. Da allora fu tenace oppositore del regime, tanto che nel 1927 fu sospeso dall'insegnamento. Reintegrato, continuò ad insegnare fino al 1930, quando fu arrestato insieme alla moglie con l'accusa di cospirazione politica contro il fascismo. Liberato su pressione di intellettuali italiani e stranieri, fu privato definitivamente della cattedra nel 1934. Morì a Genova il 14 febbraio del 1941. Essendogli stati negati funerali pubblici, fu sepolto quasi clandestinamente nel cimitero di Staglieno, mentre la flotta inglese bombardava la città.
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