La calata degli Ungheri in Italia nel Novecento (Open Access)
A cura di Aldo Maria Morace
ISBN 978-88-6542-876-4
Pagine: 264
Anno: 2023
Formato: 15 x 21 cm
Collana: Biblioteca di Sinestesie, 110
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Scritto e pubblicato in rivista nel 1822, e poi in volume nel ’23, La calata degli Ungheri in Italia nel Novecento è il primo romanzo storico italiano. Supportato da una solidissima documentazione storica, realizza una convincente mistione fra storia e invenzione imperniandosi – secondo il precetto scottiano – sul vivace tratteggio di un momento nodale dell’età di mezzo in Italia. Bertolotti vi ha messo a frutto le sue indubbie doti di narratore, rendendo vivi e attrattivi gli inserti antropologici che caratterizzavano gli usi e i costumi, le tradizioni e le ritualità e le superstizioni del popolo magiaro. Il taglio breve dei capitoli – davvero un unicum nella storia ottocentesca del romanzo storico – è finalizzato a una rapidità diegetica che, però, non deve occultare il ritmo innovativo della metrica del racconto e la costruzione accurata della struttura narrativa, purtroppo insidiati dalla stereotipia dei personaggi. A mancare, purtroppo, è una coerente fusione di lingua e stile in sintonia con la tecnica diegetica; e il registro espressivo è fin troppo proteso a ricercare esiti nobili ed alti (frequente il costrutto inverso dei segmenti frastici e periodali, caro a d’Arlincourt), di contro alla magrezza della struttura e al respiro veloce del narrato.
Davide Bertolotti (Torino il 2 settembre 1784 - 12 aprile 1860) inizia la sua attività letteraria con una serie nutrita di traduzioni e con testi poetici di celebrazione napoleonica. Trasferitosi a Milano nel 1812, si converte alle «piane regioni della prosa» e acquista una vasta risonanza dirigendo e compilando prima «Lo Spettatore» e poi «Il Raccoglitore» e, al tempo stesso, dedicandosi a un febbrile poligrafismo che spazia fra romanzi e novelle a forte impronta patetico-sentimentale e volumi «dilettevoli» di viaggio, riscuotendo molto successo di pubblico, soprattutto femminile. Tornato definitivamente a Torino nel ’34, pratica la scrittura di viaggio e di divulgazione storica, ma soprattutto torna alla poesia, scrivendo un ambizioso poema in dodici canti sulla creazione, Il Salvatore (1844), cui si applica fin quasi alla morte.
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